VIII Esposizioni (pp. 263-281)

Non c'è scritto di Freud che non contenga qualche elemento di esposizione delle sue teorie e dei suoi metodi, ma in alcuni questo aspetto prevale sull'originalità del contributo alle nuove conoscenze. Tanto per citare un esempio a caso, il suo breve lavoro sui disturbi psicogeni della vista (1910) contiene, oltre il contributo tecnico, un'eccellente esposizione delle sue teorie sulla natura dinamica dell'inconscio e sul significato generale della rimozione. Esiste tuttavia un insieme di saggi e di conferenze che avevano il preciso scopo di esporre ad un pubblico più vasto i lineamenti generali della psicoanalisi. Di solito essi venivano scritti da Freud dietro un invito specifico, come ad esempio il libretto Sui sogni, richiestogli da Loewenfeld al fine di introdurre presso il pubblico colto, in forma elementare,  l'essenza  della sua grande  opera sull'argomento.

Freud rispondeva prontamente a tali inviti. Avrebbe potuto far sua la massima enunciata da Serveto nientemeno che nel 1531: «Che io non possa mai privare gli altri di ciò che posseggo e che riconosco utile ai miei simili; che io possa gettare da parte la paura e proclamare quella che ritengo la verità.»

Freud aveva un'eccezionale capacità di esporre le cose. Ciò che suscita la nostra ammirazione non è solo il suo dono, assolutamente fuori del comune, di ordinare in frasi semplici il materiale più complesso, né la sua bella padronanza della lingua, con il suo senso del mot juste, alla quale la grazia e la duttilità viennesi aggiungevano tanto fascino: è soprattutto il suo candore e la sua semplicità di scrittore. Ciò che Freud espone riesce in gran parte a persuadere proprio perché egli non parte con il presupposto di riuscirvi. Freud intuisce con infallibile acume le difficoltà nelle quali si dibatte la mente del lettore, l'esatta natura delle sue critiche e delle sue obiezioni, e riesce ad esprimere in parole tutto ciò più chiaramente dello stesso lettore. La sua onestà e la franchezza con cui ammette i punti dubbi di ciò che espone sono tali che il lettore si sente trascinato, portato a prestar fede a tutto quanto Freud può aver da dire. Se William James ha scritto trattati di psicologia come fossero romanzi, e suo fratello Henry ha scritto romanzi come fossero trattati di psicologia, di Freud si può dire che ha fuso i due scopi in modo meraviglioso.

1.   Negli anni che stiamo considerando, la prima pubblicazione di questo genere è il piccolo libro Sui sogni,* già ricordato. Pubblicato ne! 1901, fu ristampato nel 1911 e nel 1921. Nella prima ristampa fu ampliato in modo da comprendere nuovo materiale sul simbolismo. Il libro lascia ancora oggi un'impressione di freschezza anche in coloro che conoscono bene l'opera maggiore di Freud sullo stesso argomento.

2.  Nel 1905 Freud collaborò ad un'opera in due volumi, intitolata Die Gesundheh e pubblicata a cura di Kossmann e Weiss, con un saggio di circa 26 pagine sul «Trattamento psichico».5 Poiché si rivolgeva ad un pubblico profano Freud dovette cominciare dai concetti più elementari, spiegando com'è possibile che le sole parole influiscano su uno stato di salute. Le parole erano originariamente connesse con la magia e la psicologia moderna riprende quanto c'è di vero in questa antica teoria. Le parole costituiscono in fondo il mezzo più potente mediante il quale una persona possa influenzarne un'altra. Freud discute quindi per esteso i rapporti esistenti tra i processi mentali e quelli fisici. Le comuni espressioni emotive fisiche sono abbastanza note, ma Freud sostiene altre due tesi meno note, cioè: a) che le emozioni possono anche influire involontariamente su quei processi somatici che non sono sottoposti al controllo della volontà, come ad esempio la digestione, e b) che nessun processo mentale, nemmeno il pensiero «puro» è perfettamente esente da cariche affettive e quindi privo di influssi sia pure impercettibili sul corpo. Quando tali influenze vengono sfruttate da un punto di vista terapeutico, come nella psicoterapia, la personalità del medico assume un'innegabile importanza. A questo proposito v'è una frase che Freud considerava così importante da riportarla in corsivo, e che è di portata profetica nei riguardi delle moderne tendenze mutualistiche in medicina: «S*? si negasse al paziente la libera scelta del medico, ciò significherebbe l'abolizione di una condizione di prim'ordine per influenzare psichicamente il paziente.»

Alcune pagine di Freud sono dedicate alle guarigioni realizzate dall'influsso della fede religiosa o di un'intensa emozione. È assolutamente errato negarne l'esistenza, che d'altra parte si può spiegare con mezzi naturali. Segue un lungo resoconto dell'ipnosi, dei suoi effetti e dei suoi insuccessi. Proprio questi ultimi avevano reso necessaria, negli ultimi anni, la ricerca di misure più radicali e degne di fiducia: questa l'unica allusione che Freud faceva all'esistenza della psicoanalisi.

L'intero saggio potrebbe esser letto ancor oggi con profitto dalla grande maggioranza dei medici, purché essi sappiano meditare sulla semplice saggezza che vi è espressa con tanta chiarezza.

3.  In questo elenco si può anche includere la serie dei volumi intitolati Sammlung kleiner Schriften zur Neurosenlehre, sebbene solo in parte espositivi. Si tratta di cinque volumi che apparvero rispettivamente nel 1906, 1909, 1913, 1918 e 1922. La maggior parte di essi riapparve in varie edizioni successive, ma senza variazioni di forma. Del primo della serie furono vendute, nei primi due anni, solo 340 copie, mentre nello stesso lasso di tempo furono vendute tutte le 1000 copie della seconda edizione (1909), e così quelle della terza edizione (1920). Per il primo volume della serie Freud ricevette un compenso di 900 corone (182,34 dollari), di 936 (189,63) per il secondo, e di 1400 (283,64) per il terzo. Si trattava per lo più di raccolte di lavori pubblicati in precedenza, però il quarto volume ne conteneva due importanti che venivano pubblicati per la prima volta.

4.  Nel settembre 1909 Freud tenne cinque lezioni alla Clark University nel Massachusetts, in occasione del ventennale della sua fondazione." Quando furono pubblicate, sotto il titolo di Cinque lezioni sulla psicoanalisi, acquistarono subito grande popolarità. Ne uscirono infatti otto edizioni e ne furono fatte dieci traduzioni in lingua straniera. L'edizione tedesca, di 1500 copie, fu esaurita entro i primi due anni. Freud ricevette per essa 432 corone (87,52). Ne sono state vendute in tutto 33.000 copie, e 1900 sono state distrutte dai nazisti.

Le lezioni erano state tenute in maniera estemporanea, senza appunti preliminari: Freud le preparava mentalmente solo un paio di ore prima. Egli non avrebbe neanche voluto metterle per iscritto, perché gli sembravano già sorpassate e perché il suo cervello si era già rivolto all'affascinante problema di Leonardo, ma Deuticke, il suo editore, insistè per averle malgrado le proteste dell'autore che esse non contenevano nulla di nuovo.7 Alla fine di ottobre ne era stata scritta solo mezza pagina, e un mese dopo egli era giunto a tre.* Nella seconda settimana di dicembre però le lezioni erano terminate." In questi casi la memoria di Freud era così efficiente che lo scritto non si scostava molto dalla forma originale.

Le lezioni furono stese nei termini più semplici possibili, e ravvivate da qualche aneddoto e da qualche paragone caratteristico. Per esempio Freud paragonò le emozioni eccessive di un'isterica riguardo ad un episodio traumatico dell'infanzia, all'idea di un moderno londinese che, guardando la statua della regina Eleonora in Charing Cross, prenda il lutto per la sua morte, avvenuta più di seicento anni fa. A questo punto riportava anche la nota frase dei suoi Studi sull'isterismo: «Gli isterici soffrono di reminiscenze.»

La prima lezione ha, più che altro, carattere storico: in essa Freud tributa un riconoscimento quasi esagerato alla parte svolta da Breuer. Riporta quindi brèvemente il caso di Anna O., con le corrispondenti nozioni sulla catarsi, la conversione in sintomi somatici degli affetti non scaricati, ed i rapporti della conversione con la coscienza. Nella seconda lezione tratta gli inizi della psicoanalisi vera e propria, e la sua derivazione dalla fase in cui l'ipnosi era stato il principale sistema usato per recuperare i ricordi perduti. Segue l'esposizione dei fenomeni della resistenza e della rimozione. Freud descrive quindi la teoria per la quale i sintomi sono prodotti sostitutivi degli impulsi rimossi, e al tempo stesso compromessi tra questi ultimi e le istanze rimoventi. La terza lezione è dedicata alla tecnica psicoanalitica. Freud mette in risalto l'analogia tra i sintomi nevrotici e le libere associazioni ideative dei pazienti, in quanto entrambe le manifestazioni contengono elementi del materiale rimosso cosi come delle istanze reprimenti. È compito dell'analista individuare le allusioni ai primi, cosi come il minerale grezzo va lavorato se si vuole ottenere il metallo prezioso. Gli altri due strumenti tecnici sono l'interpretazione dei sogni, che Freud chiama «la base più sicura della psicoanalisi», e l'esame dei molti tipi di lapsus del linguaggio, ecc., che Freud aveva già descritto nel piccolo libro Psicopatologia della vita quotidiana1" e che oggi vengono comunemente chiamate «paraprassie». La portata della psicoanalisi per lo psichiatra è paragonata a quella dell'istologia per l'anatomico, e gli oppositori della psicoanalisi che tranciano giudizi su di essa senza preoccuparsi di impararne i metodi, vengono criticati e paragonati a un anatomico che ripudi le conoscenze sulle strutture più fini, rifiutandosi di usare il microscopio.

Nella quarta lezione Freud giunge al delicato argomento della sessualità: dà un chiaro resoconto della sessualità infantile nonché dell'ormai famoso complesso di Edipo, e fa notare che per chiunque voglia aprire gli occhi, è abbastanza facile cogliere la sessualità nell'infanzia, e che è forse più difficile riuscire ad ignorarla. Ammette di usare il termine «sessualità» in un senso più ampio del solito, chiedendosi però se è l'uso che egli ne fa ad essere troppo vasto, o quello corrente ad essere troppo ristretto, per ragioni repressive. Alla retorica domanda perché non dovrebbero esserci altre cause dei sintomi nevrotici oltre quelle sessuali, risponde - in tono più affabile che non nelle edizioni successive11 - «Non lo so neanch'io, né avrei qualcosa in contrario. Non sono stato io a far sì che le cose stiano così, però rimane il fatto...»12 Prosegue spiegando il fenomeno della fissazione ai vari stadi dello sviluppo, per poi paragonare i risultati ottenuti in psicopatologia, alle conseguenze morbose che si osservano in patologia generale in seguito all'inibizione dei processi di sviluppo organico, come per esempio la gola di lupo.

L'ultima lezione è di ordine più generale. Essa inizia con la discussione della fuga della fantasia, con la quale così comunemente si cerca di compensare la mancanza di soddisfazioni sofferta nella realtà. Tratta poi la questione delle diverse conclusioni delle fantasie, a cui si riallacciano due possibilità: un migliore adattamento alla realtà, ovvero un ruolo nel determinismo dei sintomi nevrotici. Freud richiama poi l'attenzione sul caso eccezionale dell'artista, che alimenta le fantasie ma si serve del suo specifico talento per realizzare un rapporto indiretto con il mondo esterno. Parla quindi del transfert, sia nell'ambito del trattamento psicoanalitico che al di fuori di esso, ed afferma che secondo lui lo studio dei fenomeni di transfert fornisce le prove più convincenti della teoria psicoanalitica. Da questo passa alla sublimazione, facendone rilevare i limiti. A questo proposito illustra la sua concezione con la storia di quei contadini che cercavano di abituare il cavallo a mangiare ogni giorno meno, finché alla fine, quando stavano per riuscirci, il cavallo morì inspiegabilmente. Analogamente, nessuna macchina può trasformare tutta la sua energia in calore utile o in elettricità: qualcosa viene necessariamente perduto nell'attrito interno. Freud considera anche alcuni timori e alcune critiche a proposito della psicoanalisi, come per esempio il timore che gli impulsi proibiti, una volta ammessi alla coscienza, possano scatenarsi, e spiega le ragioni per cui tali impulsi, una volta nella coscienza, perdono necessariamente forza, e per cui tali impulsi, quando pervengono sotto un miglior controllo, hanno minori possibilità di determinare disturbi di quando invece si trovano allo stato di dissociazione loro proprio, inaccessibile a qualsiasi influsso. Secondo Freud le principali difficoltà ad accettare le scoperte della psicoanalisi sul piano intellettuale sono due: la prima è che non siamo abituati ad applicare ai processi mentali le leggi di un rigoroso determinismo, come invece richiede la loro indagine scientifica; l'altra è la paura che l'ammettere processi inconsci porti ad una decadenza dei nostri modelli culturali.

5.   Nella primavera del 1911 Freud scrisse una breve relazione per il Congresso Australasiatico di Sydney,13 in circostanze che abbiamo precedentemente descritte. Al congresso fu letta anche una relazione di Jung «Sulla dottrina dei complessi» e una di Havelock Ellis su «Le dottrine della scuola di Freud».

Freud riuscì a condensare in poche pagine una straordinaria quantità di nozioni sulla psicoanalisi, ma il contenuto di quella relazione è così noto ed è reperibile in tante altre pubblicazioni, che è superfluo riassumerlo qui. Freud colse l'occasione per far notare tre aspetti per i quali il suo lavoro veniva a trovarsi in evidente contrasto con quello di Janet: a) la psicoanalisi rifiuta di far risalire direttamente l'isterismo ad una degenerazione congenita ereditaria; b) invece di una mera descrizione, essa fornisce una spiegazione dinamica, implicando l'intervento di.forze psichiche; e) essa fa risalire la dissociazione psichica ad uno speciale processo chiamato «rimozione» anziché ad una incapacità congenita.

6.   Nel 1912 «Scientia», un importante periodico internazionale che si pubblicava in Italia e che era dedicato allo studio dei rapporti tra i diversi rami della scienza, invitò Freud ad esporre l'interesse che la psicoanalisi poteva avere per il pubblico colto, nonché la sua eventuale portata negli altri rami della scienza. Questo saggio, lungo trenta pagine e intitolato Diritti della psicoanalisi all'interesse scientìfico, è molto più esteso di quello precedentemente menzionato. Esso comparve in edizione tedesca solo nel 1924, quando venne incorporato nelle Gesammelte Schriften (Scritti completi).1" E strano che esso compaia per la prima volta in inglese nella Standard Edition di Strachey.

In esso Freud insiste sul fatto che la psicoanalisi, sebbene nata come un metodo per indagare e curare le affezioni nevrotiche, è applicabile anche ai cosiddetti fenomeni normali, rispetto ai quali essa possiede un suo posto ben preciso e non deve considerarsi un semplice derivato della psicopatologia. Al contrario, Freud sostiene che lo studio dei sogni normali è di indubbio valore per la psicopatologia, in quanto ha conquistato alla psicologia un campo che prima veniva ritenuto di pertinenza della fisiologia. Non manca una nota di trionfo per il modo in cui la psicoanalisi ha «messo un freno alla mentalità fisiologica», che stupisce se si pensa che solo venti anni prima la fisiologia era per Freud la Scienza per eccellenza, e che egli faceva disperati tentativi per descrivere i processi mentali in un linguaggio fisiologico o, meglio, fisico. Commentando le vecchie teorie mediche, secondo le quali i sogni hanno un'origine puramente somatica e sono privi di senso e di significato, Freud osserva: «Contro la concezione fisiologica sta la sua stessa sterilità: in favore di quella psicoanalitica si può addurre il fatto che essa è riuscita a dare un'interpretazione comprensibile di migliaia di sogni, e che se n'è servita per venire a conoscenza della vita intima della psiche.» Segue l'affermazione, alquanto sorprendente, che proprio con l'interpretazione dei sogni la psicoanalisi è entrata nel suo «destino di contrapporsi alla scienza ufficiale», asserzione che sarebbe stato più lecito attendersi in rapporto all'argomento della sessualità infantile o dell'origine sessuale delle nevrosi. Tuttavia Freud non mancò mai di dare, a buon diritto, un posto di primo piano all'analisi dei sogni. «[Gli analisti] concordano nell'ammet-tere che l'interpretazione dei sogni è il fondamento del lavoro psicoanalitico e che i suoi risultati rappresentano il contributo più importante che la psicoanalisi ha dato alla psicologia.»18 «Si può ben dire che lo studio psicoanalitico dei sogni ci ha permesso di gettare la prima occhiata nel regno, finora insospettato, della psicologia profonda. Mutamenti rivoluzionari saranno necessari per poter adattare la psicologia normale a queste nuove scoperte.»

Delle molte conclusioni psicoanalitiche destinate ad assumere importanza ai fini della psicologia generale, Freud ne riprende in particolare due: la supremazia dei processi affettivi nella vita psichica, e la insospettata vastità della loro interferenza sull'intelletto, sia nelle persone normali che in quelle malate.

In questa parte del saggio Freud espone naturalmente i dogmi principali della psicoanalisi. Richiama in particolare l'attenzione sulle somiglianze tra sogni e processi psicopatologici, sul conflitto mentale, sulla rimozione di certi impulsi, sulle formazioni reattive da parte delle istanze repressive, con formazioni sostitutive da parte del rimosso, ed infine sull'onnipresenza dei processi di condensazione e spostamento.

La seconda parte del saggio è dedicata all'interesse che la psicoanalisi riveste per certe branche non psicologiche del sapere, elencate da Freud come segue:

a)  Interesse per la filologia : Freud richiama l'attenzione sulle straordinarie somiglianze tra quello che può chiamarsi il linguaggio dell'inconscio e le caratteristiche delle lingue antiche. In entrambi i casi non v'è responsabilità di esprimere la negazione, le idee sono ambivalenti (cioè una stessa parola può esprimere l'uno o l'altro dei due opposti significati), il simbolismo riveste una parte importante ed il modo di pensare è stranamente lacunoso, con omissione di anelli intermedi. La parola «arcaico» si adatta ugualmente bene ad entrambi. Freud richiama poi l'attenzione sulle conclusioni del filologo svedese Sperber circa la notevole importanza delle espressioni sessuali nello sviluppo del linguaggio primitivo e le straordinarie emanazioni che ne derivano. Il linguaggio inconscio non è solo verbale, ma può esprimersi in forma corporea, e a dimostrare la grande mui-tiformità di tale linguaggio Freud cita l'esempio dell'idea inconscia della gravidanza, che può esprimersi nell'isterismo attraverso il vomito persistente, nella nevrosi ossessiva attraverso la paura delle infezioni e nella demenza precoce con il sospetto di essere avvelenato.

b)  Interesse per la filosofia: i filosofi hanno concepito l'inconscio in termini mistici ed in termini trascendenti, oppure come una questione fisiologica per loro priva d'interesse. Ora lo studio dell'effettiva natura e del contenuto dell'inconscio ripropone il vecchio problema dei rapporti tra corpo e mente, ma in modo diverso da prima. Inoltre le varie filosofie sono molto più individuali e personali di altre branche del sapere, per cui una conoscenza profonda dello sviluppo dell'individuo nell'infanzia, e dell'influsso di questa sul modo di pensare dell'individuo fatto adulto, chiarirebbe forse molte concezioni, se non altro rendendole più comprensibili. Freud ha però l'accortezza di astenersi dall'affermare che in tal modo si può giudicare qualsiasi dottrina filosofica: questo può farsi solo in base ai meriti di ognuna di esse.

e) Interesse per la biologia: l'importanza accordata dalla psicoanalisi all'istinto sessuale interessa i biologi. I punti sostenuti a questo proposito da Freud sono due. Uno è il concetto che tale istinto nella sua ricerca di soddisfazione trascende il semplice fine della riproduzione, e che le attività erotiche si estendono molto al di là dei soli organi genitali. Nell'altro Freud confronta il concetto psicoanalitico della sessualità - attività dotata di una propria vita indipendente spesso in antagonismo con l'intera personalità - con il concetto di Weismann di un plasma germinale immortale al quale temporaneamente si attaccano i corpi animali. Freud afferma che il suo termine prediletto di Trieb (pulsione) è un concetto intermedio tra l'espressione psicologica e quella biologica, e che la distinzione biologica tra «maschio» e «femmina», in psicologia si trasforma in distinzione tra «attivo» e «passivo», tratti che non si riferiscono all'istinto in sé, ma solamente ai suoi fini. L'argomento della bisessualità naturalmente non viene trascurato.

d)  Interesse genetico: la psicoanalisi non si limita a scindere prodotti complessi nei loro elementi, come fa la chimica, ma li riporta alle attività primitive da cui derivano. Essa non è statica, ma dinamica e genetica. Freud fa notare anche che la psicoanalisi considera il vecchio detto «il bambino è padre dell'uomo» assai più seriamente di quanto non si faccia abitualmente. La scoperta dell'essenziale importanza delle prime esperienze della vita nei riguardi di tutto ciò che segue, determina il fatto paradossale, spiegato da Freud molto tempo prima, che la coscienza perde proprio questi ricordi. Una scoperta ancora più stupefacente è che i processi mentali dell'infanzia continuano ad esistere a fianco dei prodotti più complessi che si sviluppano in seguito, e che a qualsiasi momento può verificarsi una «regressione» che ne determina la riviviscenza.

e)  Interesse per la storia della civiltà: la prima applicazione delle conoscenze psicoanalitiche a questo campo è stata la spiegazione dei miti e delle favole, cioè dei sogni dell'umanità primitiva. La psicoanalisi può però servire ad illuminare anche le grandi istituzioni della civiltà: religione, morale, legge e filosofia. Esiste un intimo legame tra le conquiste mentali dell'individuo e quelle della comunità, poiché entrambe provengono dalle stesse fonti dinamiche. La principale attività psichica è quella di cercare di eliminare la tensione, cosa che si ottiene in parte mediante una soddisfazione immediata. La considerevole parte di tensione che residua, non potendo essere soddisfatta direttamente, deve cercare tutte le possibili forme indirette di soluzione. Secondo Freud è questo quantitativo di energia libera che ha creato le nostre varie istituzioni sociali. La credenza primitiva della «onnipotenza del pensiero», di cui persistono ancora molti residui, è destinata a modificarsi attraverso un maggiore contatto con la realtà: si realizza così il passaggio dalla fase animistica a quella scientifica, attraverso la fase religiosa. Miti, religione e morale possono considerarsi come altrettanti tentativi di procurarsi una compensazione per quelle soddisfazioni che la realtà ci nega.

f)  Interesse per la teoria e la storia dell'arte: l'arte è una forma particolare del tentativo di soddisfare desideri altrimenti insoddisfatti, sia per l'artista che per il suo pubblico. «L'arte rappresenta un territorio intermedio tra la realtà, negatrice dei desideri, e il mondo della fantasia, che li soddisfa.» La psicoanalisi rende possibile risalire alla fonte di questi desideri partendo dal contenuto manifesto della forma artistica, ma, secondo Freud, essa non è in grado di gettar luce sulla natura del talento artistico in sé: «Donde l'artista attinga le sue capacità creative è un problema che esula dalla psicologia.»

g)  Interesse per la sociologia: gran parte dei nostri sentimenti derivano dalla sublimazione di desideri erotici parziali insoddisfatti. Una repressione eccessiva conduce ad atteggiamenti asociali: è lo stadio terminale di tutte le nevrosi, che Freud paragona alla vita monastica dei tempi antichi. D'altra parte, le esigenze sociali assumono una parte importante nel determinismo delle nevrosi, imponendo restrizioni sempre maggiori alla soddisfazione immediata. Con l'andar del tempo, tali restrizioni finiscono per essere interiorizzate, ereditate ed auto-imposte, concezione destinata ad acquistare maggiore importanza nei successivi scritti sociologici di Freud.

h) Interesse per la pedagogia: solo chi è in grado di capire la mente di un bambino può diventare un buon educatore, ma deve pur sempre superare la interposta difficoltà rappresentata dall'amnesia della parte più importante della propria vita infantile. La psicoanalisi tenta di penetrarvi e dovrebbe quindi dimostrarsi di una inestimabile utilità per gli educatori. Freud sottolinea la necessità della tolleranza nell'educazione dei bambini piccoli, tolleranza legata alla considerazione che manifestazioni tali da ripugnare agli adulti sono spesso inerenti a stadi dello sviluppo che il bambino deve inevitabilmente attraversare. Le nostre più belle virtù hanno spesso origini così basse.

7. Nel 1917 comparve quello che è poi risultato, ed a ragione, il libro più popolare di Freud, e che in Inghilterra porta il titolo di Lezioni introduttive sulla psicoanalisi.20 Ne furono stampate cinque edizioni in tedesco, oltre a diverse in formato tascabile, e ne furono vendute più di 50.000 copie. Il libro venne pubblicato inizialmente in tre parti separate, la prima nel luglio 1916, le altre due nel maggio 1917: Freud lo rivide due volte, senza però apportarvi sostanziali cambiamenti. Venne tradotto in sedici lingue, compreso il serbo, l'ungherese,  l'ebraico,  il cinese, e venne persino stampato con il metodo Braille. Vi furono cinque edizioni inglesi e due americane.

La sua storia è la seguente. Il 23 ed il 30 ottobre 1915, Freud aveva cominciato a tenere le sue consuete lezioni su «L'introduzione alla psicoanalisi». Con sua grande sorpresa si trovò di fronte un uditorio di settanta persone, ben diverso da quello di tre individui che aveva assistito, quindici anni prima, alla sua prima lezione sui sogni. Il mese seguente il pubblico aveva addirittura superato le cento persone. Freud decise quindi di preparare le lezioni con più cura del solito e, dopo breve riflessione, acconsentì a pubblicarle sotto forma di libro. Rank, con la sua perspicacia, interpretò subito questa decisione come un accorgimento per rendere superflui futuri corsi di lezioni, ed aveva ragione. Freud insegnava da trent'anni e sentiva indubbiamente di avere adempiuto il proprio dovere per l'ingrata Università. Queste sue lezioni dovevano essere le ultime.

Le prime quattro lezioni le scrisse anticipatamente, le altre undici, sui sogni, le scrisse invece subito dopo averle tenute.23 Infine, quando giunse all'argomento più difficile, quello delle nevrosi, le scrisse per intero un po' prima di tenerle, imparandole quindi a memoria: nel settembre 1916 ne aveva già scritte nove su tredici per la successiva sessione.

In queste lezioni Freud rivelò al massimo le sue doti di espositore, e questo sarebbe di per sé sufficiente a rendere ammirevole il libro. Egli guidava l'uditorio con tanta affabilità e persuasione, discutendo a fondo senza pregiudizi ogni possibile obiezione, che gli ascoltatori non potevano non lasciarsi trascinare. Esiste un passo, veramente delizioso, in cui giunge ad ammonirli che, accettando una proposizione apparentemente impeccabile, essi ammettono involontariamente conclusioni più ardite di quanto possono immaginare, conclusioni che egli rende poi più accettabili mediante una più ampia esposizione.

Il libro comprende tre parti, ma in effetti esso consiste in due metà diverse. La prima metà, rappresentata dalle due parti che trattano rispettivamente la psicopatologia della vita quotidiana ed i sogni, venne esposta nell'inverno 1915-16. L'argomento trattato, appartenente alla vita psichica normale, consisteva in materiale che l'uditorio poteva trarre dalla propria esperienza. Prevedendo la delusione del pubblico nel dover prendere in considerazione banalità come i lapsus, Freud fa osservare quante cose importanti della vita vadano intuite da esili indizi. Per un innamorato, un'occhiata od una lieve pressione involontaria della mano possono significare volumi interi. Analogamente, in campo giuridico, la prova circostanziale costituita da un cumulo di indizi, ognuno forse insignificante in se stesso, si rivela spesso più conclusiva della più dubbia prova diretta dei testimoni oculari. L'eventuale obiezione secondo la quale tali lapsus sono incidenti privi di significato che avrebbero potuto verificarsi benissimo in modo diverso, è subito eliminata, poiché se così fosse, tutto il sistema scientifico, che si basa sullo stretto determinismo, verrebbe buttato a mare: persino le vedute religiose assumono consistenza concreta quando insegnano che neanche un passero cade a terra senza l'espressa volontà del Padre Celeste. Freud conduce cosi il suo uditorio, attraverso l'elencazione dei diversi lapsus, a riconoscere l'esistenza della dissociazione mentale. Fa infine notare che l'effetto di tali lapsus non è sempre banale, perché essi possono ad esempio determinare autolesioni, «incidenti» fatali e catastrofi anche maggiori.

Anche la seconda parte, riguardante i sogni, è un capolavoro di esposizione. Freud aveva esposto tante di quelle volte la sua teoria sui sogni, che era per noi fonte di continuo stupore il constatare come ogni volta egli riuscisse ad infondervi tanta freschezza e tanta novità. Anche gli psicoanalisti che conoscevano ormai a fondo l'argomento potevano leggerne ogni nuova presentazione con interesse rapito, come se fosse la prima volta. Dopo le quattro lezioni sui lapsus, Freud ne dedicò altre undici a questo argomento, ma cionondimeno sentiva di aver dato un resoconto solo parziale di questo tema straordinariamente fecondo. Il suo piccolo libro Sui sogni25 rappresenta un'esposizione più semplice e più didattica, ma quella contenuta nelle lezioni è forse più istruttiva, anche perché è fatta sotto forma di discussione, nella quale vengono esaminate in dettaglio, con pazienza e con cura, le varie difficoltà che l'argomento presenta. La prima lezione è dedicata alle difficoltà preliminari, come per esempio il carattere vago ed incerto del materiale stesso. Viene quindi affrontato il tema principale, cioè la tecnica interpretativa, il contrasto tra il contenuto manifesto e quello latente, la natura e la funzione della censura, ed il carattere di semplicità dei sogni infantili, i vari meccanismi di distorsione impiegati nel «lavoro onirico», le fonti degli stimoli ed i desideri inconsci che questi mettono in azione, e così via. Si parla anche brevemente dei desideri rimossi dell'inconscio, dei desideri incestuosi e di morte, dell'infanzia, ecc.

L'ultima lezione è dedicata ai problemi residui, quattro dei quali vengono presi in particolare considerazione. Il primo riguarda le incertezze interpretative, cioè se un dato elemento va preso alla lettera o simbolicamente, oppure se una frase va capovolta o no, e le varie possibilità di interpretazione arbitraria e soggettiva. Freud ammette che tale lavoro non raggiunge la certezza che offre la matematica, ma fa osservare che nel lavoro scientifico tutte le conclusioni vanno intese più come gradi diversi di probabilità che non come certezze assolute e che, nella massima parte dei lavori, l'attendibilità dei risultati dipende in larga misura dalla perspicacia e dall'esperienza del ricercatore. Quanto all'interpretazione dei sogni, Freud sostiene che un analista esperto raggiunge nelle sue interpretazioni un alto grado di probabilità. Egli fa un'analogia con l'iniziale incertezza nella decifrazione dei geroglifici cuneiformi e osserva che in certe lingue, come il cinese e l'egiziano antico, sono necessarie vaghe indicazioni per capire quali dei vari significati possibili è quello voluto. Un'esitazione di diversa natura deriva dall'impressione, che danno tante interpretazioni, di essere stiracchiate e basate su un gioco di parole estraneo alla nostra coscienza della veglia. Tutto ciò è però dovuto alla natura del sistema inconscio, che ci è fondamentalmente aliena.

Segue la spiacevole ammissione che determinate persone, finora considerate psicoanalisti, hanno avanzato idee diverse sul significato dei sogni. Secondo Maeder i sogni rappresentavano un tentativo di adattamento a compiti presenti e futuri, che egli chiama «tendenza prospettica» dei sogni; secondo Silberer tutti i sogni hanno due significati, quello psicoanalitico e quello «anagogico», nel quale sono rappresentate le mete più alte della psiche; secondo Adler tutti i sogni sono suscettibili di un'interpretazione sia maschile che femminile. Per Freud l'elemento di verità contenuto in tutte queste ipotesi è stato ingiustificatamente generalizzato, ed il loro errore consiste nel non dare il giusto peso alla profonda differenza tra contenuto manifesto e contenuto latente del sogno. Freud discute infine l'obiezione, sollevata da qualcuno, che i sogni del paziente dipendano spesso dall'analista al quale si è rivolto, e che i sogni dei pazienti di un dato analista presentino tutti una certa somiglianza tra loro. Anche questo è possibile, ma le deduzioni che talvolta se ne traggono sono dovute anche in questo caso alla confusione tra contenuto manifesto e latente. Le osservazioni fatte dall'analista, come quelle di chiunque altro, possono costituire spesso uno stimolo al sogno, alla- stessa stregua di qualsiasi stimolo corporeo, ma il modo in cui l'attività onirica del paziente elabora tali stimoli, è una questione puramente interiore, che non risente di alcun influsso esterno. «Si può spesso influenzare la gente a sognare su un determinato argomento, ma non si può mai influenzare ciò che sognerà in effetti.»

La terza parte del libro, che ne costituisce in effetti la seconda metà, consiste in tredici lezioni che furono tenute nell'inverno seguente. Esse differiscono da quelle del primo gruppo in quanto, riferendosi a un materiale inaccessibile ai membri dell'uditorio, dovevano necessariamente rivestire una forma più didattica. La discussione delle eventuali obiezioni e delle difficoltà incontrate dall'uditorio, che rendono così interessanti le lezioni precedenti, è però conservata. Questa seconda parte non tratta la teoria psicoanalitica generale né descrive l'uso del metodo, ma espone la teoria psicoanalitica delle psiconevrosi, di cui queste lezioni rappresentano forse la migliore introduzione.

In esse Freud passa ampiamente in rivista, e talvolta anche approfondisce, tutti gli aspetti delle psiconevrosi. In questa sede si possono ricordare solo alcune delle sue caratteristiche asserzioni. Egli comincia, ad esempio, con il ripudiare la sua fede nel vecchio proverbio secondo il quale tutto nasce dalla lotta, e con l'esprimere la sua avversione per le polemiche scientifiche, generalmente sterili e per lo più personali. Fa quindi osservare che la scoperta del significato dei sintomi nevrotici attraverso l'analisi, rende necessario il fatidico passo di ammettere l'esistenza dell'inconscio. Poi, parlando della terapia, dimostra che le forme possibili di conoscenza sono più d'una: si può sapere una cosa con una parte della psiche ed ignorarla con un'altra. Richiama l'attenzione sulla tendenza, propria dei nevrotici, di rivelare alla lunga ogni cosa, tranne qualche parte speciale della loro mente che - si direbbe - devono tenere di riserva, e sulla necessità di essere spietati nel non rispettare quel settore riservato, dal quale potrebbero in seguito svilupparsi nuovi sintomi. Nessun campo fa eccezione in questo senso, neppure i segreti di Stato: se si sapesse che in qualche posto particolare i criminali sono esenti dall'arresto, diventerebbe impossibile acciuffarli.

Freud si occupa diffusamente dei problemi etiologici, ed insiste ripetutamente sulla necessità che parecchi fattori diversi concorrano nel determinismo di ciascun sintomo nevrotico. Gli elementi di tale sommazione sono però reciproci: se un fattore è particolarmente forte, anche gli altri devono esserlo, e viceversa. Al primo posto viene la predisposizione ereditaria, che in alcuni casi è determinante mentre in altri lo è appena, e che consiste nel deposito di esperienze ataviche. Il punto di vista di Freud sull'eredità è sempre stato il seguente: «Se non si acquisisce nulla, nulla si può ereditare.» Quelle che oggi vengono definite «fantasie primarie», come ad esempio la rappresentazione del coito dei genitori, la paura di castrazione, ecc., in un passato remoto erano vere e proprie realtà. V'è poi il fattore dell'arresto di sviluppo in un qualsiasi stadio, arresto che può essere innato, come spesso accade nello sviluppo organico (nel qual caso si arriva a fenomeni come la mancata discesa del testicolo o la pervietà del canale inguinale), oppure può essere facilitato da effettive esperienze in ciascuno stadio, il che conduce ad una situazione molto analoga a quella che Freud chiama «fissazione». Questi punti di fissazione rimangono per tutta la vita come poli di particolare attrazione, cioè punti ai quali l'energia libidica può facilmente «regredire» quando si presentano difficoltà ed ostacoli allo sviluppo. Freud attribuisce particolare importanza a questo fenomeno della regressione, pur insistendo su un punto che viene talvolta trascurato, cioè che la regressione dell'energia non può verificarsi se non v'è qualcosa verso cui regredire, cioè qualcosa che fa retrocedere l'energia. L'ostacolo che blocca la libido e determina la regressione è da Freud definito privazione sessuale in senso lato. Egli include cioè in questo termine non solo le privazioni esterne, ma soprattutto quelle interiori, dovute ad una precedente regressione.

Pur sostenendo che tutti i sintomi nevrotici sono un sostituto mascherato della soddisfazione sessuale, Freud precisa che questo non contiene che metà della verità: per parlare in senso stretto, il sintomo, specialmente nell'isterismo, è una formazione di compromesso tra il desiderio libidico e la forza repressiva esercitata da parte dell'Io. In tal caso, inoltre, il desiderio libidico non è il desiderio di rapporti sessuali proprio dell'adulto, ma un desiderio di quelle componenti parziali primitive destinate a formare l'istinto adulto, cioè, in altre parole, un impulso proprio dell'infanzia. Questo rende ancora più facile il misconoscimento del suo significato. È l'esistenza di queste numerose componenti infantili che ha portato Freud a descrivere la sessualità infantile come una «perversione polimorfa», espressione subito fatta segno a grande indignazione. E a questo proposito che Freud enuncia la sua famosa massima, che ogni sintomo nevrotico è il negativo di una perversione sessuale: il realizzarsi dell'uno o dell'altra dipende in gran parte dal grado di repressione presente. Nevrosi significa sempre conflitto tra istinti sessuali ed istinti propri dell'Io. Quando la nevrosi sembra dovuta ad un conflitto tra due diversi istinti sessuali, ad esempio maschile e femminile, ciò avviene perché l'Io ne ha accettato uno in misura maggiore dell'altro. In linguaggio tecnico si dice allora che un impulso è più «ego-sintonico» dell'altro.

Nella formazione, o meglio nel mantenimento dei sintomi nevrotici, entra un altro fattore, costituito dal vantaggio che l'individuo ne trae. A questo proposito Freud distingue 1' «utile primario» (utile paranosico) dall' «utile secondario» (utile epinosico). Il primo rappresenta l'utile che l'Io consegue nel rifugiarsi nella malattia invece di sopportare una situazione per lui spiacevole. L'utile secondario, invece, è quello che la personalità ottiene in seguito allo sfruttamento della nevrosi, una volta che questa si sia instaurata. Quest'ultimo fenomeno è talvolta così palese, soprattutto nella vita domestica, che a prima vista può venire scambiato per il movente dell'intera nevrosi.

Freud stabilisce un interessante confronto tra sogni e nevrosi, i cui intimi meccanismi (processi di distorsione, manifestazioni di desideri infantili repressi sotto forma di desideri soddisfatti, ecc.), sono quasi identici. Nella nevrosi, tuttavia, l'Io deve opporre a tali desideri un veto assai più energico di quanto non faccia nella vita onirica. In quest'ultima esso può permettersi di essere più tollerante, perché nel sonno le possibilità motorie sono scarse o nulle, e non v'è quindi alcun pericolo che i desideri si traducano in azione.

Una lezione speciale è dedicata al problema fondamentale dell'angoscia (Angsf). Freud si sforza di distinguere tra angoscia «reale» od obiettiva, che si riferisce ad un effettivo pericolo esterno, ed angoscia «morbosa». La salute è quello stato in cui l'individuo è pronto a percepire il pericolo e si preparara ad affrontarlo, cosa che conduce di solito a decidere il modo più opportuno di proteggersi, sia questo la fuga, la difesa o l'attacco. Quando invece il processo progredisce fino a determinare un vero stato ansioso, il finalismo biologico diminuisce o si annulla, cosa evidentissima nel caso del panico. Freud si dimostra tuttora perplesso sull'origine dell'angoscia morbosa, problema che risolverà vari anni dopo. Egli insiste invece sulla sua antica opinione che l'angoscia non sia altro che libido trasformata, pur non sapendo come conciliarla con la nozione che l'angoscia rappresenta una fuga dell'Io di fronte alla propria libido.27 In un punto egli usa l'espressione «trasformazione della libido in angoscia», e specifica il concetto aggiungendo «o meglio, scarica della libido sotto forma d'angoscia».28 Rimane però il fatto che l'«angoscia reale» è evidentemente espressione dell'istinto di conservazione dell'Io, ed ha perciò, verosimilmente, un'origine diversa da quella dell'«angoscia morbosa». In ogni modo Freud conclude ammettendo che la sua teoria presenta una lacuna che per ora egli non è riuscito a colmare.

L'ultimo capitolo è dedicato alla terapia, intendendosi per questa non la tecnica del trattamento bensì il problema del meccanismo dei risultati terapeutici che si ottengono con la psicoanalisi. Il capitolo è occupato quasi per intero dalla discussione del transfert e della suggestione, con un lungo esame della differenza che passa tra quest'ultima e la psicoanalisi. A quel tempo si affermava comunemente - e di tanto in tanto le persone poco informate sollevano ancora questa questione - che l'analisi non è che una forma particolarmente sottile di suggestione, che ottiene i suoi risultati con gli stessi mezzi di quella. A questa critica non esiste risposta più esauriente di quella data da Freud nella sua lezione conclusiva, che fu anche l'ultima della sua vita, e che raccomandiamo a tutti coloro che desiderano esaminare la questione con mente aperta.

Freud conclude esprimendo, in modo molto commovente, la sua insoddisfazione per la maniera in cui ha cercato di assolvere il suo compito. Ammette candidamente ed enumera le varie deficienze della sua esposizione, e come unica scusa adduce l'immensa complessità dei diversi argomenti da lui trattati. Questo dà una chiara misura della sua sincera umiltà, nonché dell'alto livello a cui mirava nel lavoro scientifico e nell'insegnamento.

8. L'ultimo dei lavori di Freud che va considerato dal punto di vista espositivo è un piccolo saggio pubblicato nel 1917 su «Imago», il periodico dedicato alle applicazioni non mediche della psicoanalisi. Fu scritto dopo che Ignotus, un amico ungherese, ebbe chiesto un lavoro da poter pubblicare sulla sua rivista «Nyugat». Hanns Sachs persuase Freud a pubblicarlo un paio di mesi dopo in tedesco.30 Esso s'intitola Una difficoltà sul cammino della psicoanalisi, e allude alla difficoltà che si incontra nel capire ed accettare i princìpi fondamentali di questa dottrina. La parte essenziale è quella espositiva, che consiste in un'apologia della teoria della libido, più specialmente in rapporto alla concezione del narcisismo che Freud aveva appena postulato. Freud controbatte l'accusa di unilateralità che gli era stata mossa per aver studiato così dettagliatamente i processi sessuali, affermando che tale impostazione non implica la negazione né il disconoscimento degli altri molteplici interessi che occupano l'umanità, sebbene questi non si siano proprio trovati sul suo cammino. «La nostra unilateralità è simile a quella del chimico, che fa risalire tutti i composti alla forza dell'affinità chimica. Con questo egli non nega la forza di gravità, ma la lascia al fisico.»

Freud enumera poi i tre gravi colpi che il narcisismo, ovvero l'amore che l'umanità nutre per se stessa, ha subito da parte della scienza. A queste idee egli aveva già accennato brevemente nel corso delle sue lezioni.

a)  Cosmologico: il primo grave colpo all'orgoglio umano fu inferto dagli astronomi, ed è legato al nome di Copernico. Fino allora, nonostante qualche allusione degli antichi Greci ed in particolare di Aristarco, si era tenuto per certo che la nostra dimora terrena fosse il centro dell'universo, intorno al quale, in segno di riconoscimento per la nostra importanza, ruotano il sole, la luna e le stelle. Quando nel XVI secolo si dovette riconoscere che la terra non era che un infimo frammento della materia, uno tra gli infiniti mondi rotanti, l'uomo subì il primo colpo al proprio orgoglio.

b)  Biologico: le scoperte biologiche legate al nome di Darwin hanno colpito un altro aspetto dell'orgoglio umano, e precisamente la convinzione che l'uomo occupi una posizione di privilegio nel regno animale. Questa non era una credenza primordiale, come quella precedente : al contrario, selvaggi e bambini accettano prontamente la parentela con gli altri animali, come dimostrano le varie credenze di discendere da essi, di condividerne il linguaggio, e così via. Con lo sviluppo della civiltà, però, l'uomo è giunto non solo ad occupare una posizione di dominio sugli altri animali, ma a negare qualsiasi affinità innata con essi. Il potere della ragione, il possesso di un'anima immortale sono prerogative esclusive dell'uomo. La dimostrazione della sostanziale affinità dell'uomo con altri animali, e la sua discendenza da questi, fu il secondo colpo subito dall'orgoglio umano. (Per inciso, tale concezione è stata generalmente accettata solo per quanto riguarda il corpo dell'uomo, ma non la sua psiche; è per merito di Freud che essa si va gradualmente estendendo a quest'ultima.)

e) Psicologico : anche l'ultimo caposaldo dell'orgoglio umano è stato preso d'assalto. Alludiamo alla credenza che al centro della personalità dell'uomo vi sia qualcosa, Io o anima che sia, al corrente di tutto ciò che si svolge all'interno di esso, e perfettamente informato dei motivi e degli interessi del suo ospite, e che inoltre l'uomo possieda uno strumento, «la volontà», in grado di esercitare un comando ed un controllo sul resto della personalità. La psicoanalisi ha dimostrato irrefutabilmente che entrambe queste credenze sono solo parzialmente valide. La coscienza è ben lungi dal conoscere tutto ciò che accade nella mente, anche solo per quanto riguarda gli aspetti più importanti di quest'ultima, ed il potere dell'uomo di controllare sia i propri pensieri che i propri impulsi è assai minore di quanto egli ha sempre creduto, ingannando se stesso.

In fondo questa conclusione è stata enunciata a più riprese dai filosofi. In particolare Schopenhauer ha insistito sull'importanza della «volontà inconscia» e dello stupefacente significato degli istinti sessuali. Solo quando la psicoanalisi ha sostituito le proposizioni astratte con altrettante dimostrazioni materiali, però, l'uomo ha cominciato ad intravvedere di non essere «padrone in casa propria». L'individuazione dei processi inconsci, appena agli inizi, si dimostrerà di fondamentale importanza sia per la scienza che per la vita.

A proposito di questo lavoro, Abraham osservò timidamente che esso aveva l'aspetto di un documento personale, al che Freud rispose: «Ha ragione di dire che l'enumerazione che ho fatto nel mio ultimo lavoro può dare l'impressione che io pretenda di pormi accanto a Copernico e Darwin. Non volevo rinunciare all'interessante concatenazione di pensieri che ne nasceva, perciò ho tirato in ballo almeno Schopenhauer.»